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DEFINIZIONE DI LAVORATORE E TIPOLOGIE DI LAVORO

Lavoratore (articolo 2, D.Lgs. n. 81/2008)

Ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a) del D.Lgs. n. 81/2008, si intende per lavoratore:

<< la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell‘organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari. Al lavoratore così definito è equiparato:

  • il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell’ente stesso;
  • l’associato in partecipazione di cui all’articolo 2549 e seguenti del codice civile;
  • il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento di cui all’articolo 18 della Legge 24 giugno 1997, n. 196 e di cui a specifiche disposizioni delle leggi regionali promosse al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro o di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro;
  • l’allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato alla strumentazioni o ai laboratori in questione;
  • i volontari del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco e della protezione civile >>.

Ai sensi dell’articolo 20 del D.Lgs. n. 81/2008 ogni lavoratore:

deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro. I lavoratori devono in particolare:
a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale;
c) utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto e, nonché i dispositivi di sicurezza;
d) utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione;
e) segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l’obbligo di cui alla successiva lettera f) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza;
f) non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo;
g) non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori;
h) partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro;
i) sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal presente decreto legislativo o comunque disposti dal medico competente.
I lavoratori di aziende che svolgono attività in regime di appalto o subappalto, devono esporre apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro. Tale obbligo grava anche in capo ai lavoratori autonomi che esercitano direttamente la propria attività nel medesimo luogo di lavoro, i quali sono tenuti a provvedervi per proprio conto. Di conseguenza i lavoratori sono portatori, oltre che di diritti, anche di doveri, appositamente sanzionati.

Lavoratore al videoterminale (articolo 173, D.Lgs. n. 81/2008)

Il lavoratore che utilizza un’attrezzatura munita di videoterminali, in modo sistematico o abituale, per venti ore settimanali, dedotte le interruzioni di cui all’articolo 175 del D.Lgs. n. 81/2008.

Lavoratore autonomo (articolo 89, D.Lgs. n. 81/2008)

Persona fisica la cui attività professionale contribuisce alla realizzazione dell’opera senza vincolo di subordinazione.

Lavoratrici madri

La Costituzione, oltre che per i minori, ha previsto una specifica normativa anche per le lavoratrici madri, infatti, l’articolo 37 Costituzione stabilisce che «la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre ed al bambino una speciale adeguata protezione».
Le donne lavoratrici sono sempre più presenti sul mercato del lavoro, basti pensare all’insegnamento, al lavoro di ufficio, agli ospedali e ai servizi connessi come laboratori di analisi e di ricerca, e ad altre attività lavorative che sino a qualche anno fa erano svolte esclusivamente dagli uomini, come i lavori edili; quindi, nell’effettuare l’analisi del rischio del luogo di lavoro, è necessario tenere conto della loro «specificità» in relazione alle loro particolari caratteristiche anatomiche e fisiologiche.
La legislazione relativa alla tutela delle donne lavoratrici, in generale, e delle lavoratrici madri, in particolare, è stata riunificata nel D.Lgs. n. 151/2001 «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità».
L’astensione dal lavoro è obbligatoria, in ogni caso, per le donne «durante i due mesi precedenti la data presunta del parto e durante i tre mesi dopo il parto», qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del parto sono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto.
Le lavoratrici hanno l’obbligo di comunicare al datore di lavoro il proprio stato di gravidanza, in modo che questi possa mettere in atto le particolari tutele previste per queste condizioni.
Oltre a questa astensione obbligatoria, la donna può usufruire anche di una astensione facoltativa, entro gli otto anni del bambino, per un periodo complessivo di sei mesi (anche frazionati), per ciascuno dei genitori, dopo che siano trascorsi i tre mesi di astensione obbligatoria.
La lavoratrice madre, durante il primo anno di vita del bambino, se a tempo pieno, ha diritto a due periodi di riposo durante la giornata, anche cumulabili, di un’ora ciascuno, mentre se è a tempo parziale, può usufruire di un solo periodo di riposo di un’ora giornaliera.
Lavorazioni alle quali non possono essere adibite le lavoratrici madri
Il D.Lgs. n. 151/2001 prevede, inoltre, che per tutto il periodo della gestazione e fino a sette mesi dopo il parto, è vietato far svolgere alla donna il trasporto e il sollevamento di pesi e oltre 100 tipologie di attività lavorative catalogate come «lavori pericolosi, faticosi ed insalubri», dettagliatamente riportati nell’Allegato «A» e, cioè, in particolare, lavori:

  • per i quali vige l’obbligo delle visite mediche preventive e periodiche;
  • che espongono alla silicosi e alla asbestosi;
  • che comportano esposizione alle radiazioni ionizzanti;
  • su scale e impalcature mobili e fisse;
  • di manovalanza pesante;
  • che comportano una stazione in piedi per più di metà dell’orario;
  • con macchina comandata a pedale, quando il ritmo del movimento sia frequente o esiga un notevole sforzo;
  • con macchine scuotenti o con utensili che trasmettono intense vibrazioni;
  • di assistenza e di cura degli infermi nei sanatori, nei reparti di malattie infettive e per malattie nervose e mentali;
  • agricoli che implicano la manipolazione e l’uso di sostanze tossiche o nocive;
  • di monda e di trapianto del riso;
  • a bordo delle navi, degli aerei, dei treni, dei pullman.

L’Allegato B al decreto riporta anche un elenco di agenti e di condizioni di lavoro non compatibili con lo stato di gravidanza, come, per esempio, lavori in atmosfera di sovrappressione elevata, lavori sotterranei, lavori con il piombo e i suoi derivati, lavori durante i quali si può contrarre il virus della rosolia.
Per quel che riguarda, infine, il lavoro notturno, è vietato adibire al lavoro le donne dalle ore 24 alle ore 6, dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di 1 anno del bambino.
Particolare attenzione deve essere rivolta all’esposizione a radiazioni ionizzanti alla quale può essere soggetto il personale medico e paramedico di radiodiagnostica e radioterapia; infatti, l’esposizione durante il primo mese di gravidanza può provocare aborto e aumento di malformazioni nel nascituro; inoltre, le gestanti non possono essere presenti in zone classificate, cioè zone in cui possono essere presenti radiazioni ionizzanti di una certa intensità.
Se addette all’utilizzo di videoterminali, le lavoratrici gestanti sono particolarmente soggette a disturbi dorsolombari dovuti alla particolare posizione tenuta con continuità, durante il lavoro, per cui è necessario modificare l’orario di lavoro di questi soggetti, come previsto dal D.Lgs. n. 51/2001 che costituisce il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità. Durante il periodo indicato, le lavoratrici devono essere addette, dal datore di lavoro, ad altre mansioni per il periodo per il quale è previsto il divieto e, se sono adibite a mansioni inferiori rispetto a quelle abituali, conservano la retribuzione corrispondente alle mansioni svolte in precedenza.

Garanzie di sicurezza per i lavoratori portatori di handicap

In moltissimi luoghi di lavoro, soprattutto uffici, sono spesso presenti lavoratori handicappati la cui sicurezza e salute deve essere ancor più tutelata, rispetto agli altri lavoratori, durante lo svolgimento dell’attività lavorativa; infatti, l’articolo 28, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, dice che:
«La valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro».
Si ricorda che la condizione di handicap è definita come una condizione di svantaggio conseguente a menomazione e/o disabilità, che limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale da parte di un soggetto in relazione all’età, al sesso, ai fattori socioculturali.
La Legge n. 104/1992 «Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate», ha ribadito la necessità del recupero, non solo funzionale, ma anche sociale della persona handicappata, recupero che deve manifestarsi come integrazione sia nella famiglia e nella scuola, sia nel lavoro.
L’articolo 63, D.Lgs. n. 81/2008, nella individuazione delle caratteristiche funzionali dei luoghi di lavoro, ha specificatamente previsto, che:
–– «i luoghi di lavoro devono essere strutturati tenendo conto, se del caso, di eventuali lavoratori portatori di handicap» (comma 2);
–– l’obbligo di cui sopra vige «in particolare, per le porte, le vie di circolazione, le scale, le docce, i gabinetti e i posti di lavoro utilizzati od occupati direttamente da lavoratori portatori di handicap» (comma 3).
In particolare, per i luoghi di lavoro che presentano rischio di incendio, il D.M. 10 marzo 1998 e la circolare del Ministero dell’Interno 1º marzo 2002, n. 4, prendono specificatamente in considerazione i provvedimenti che il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre per agevolare l’esodo, in caso di pericolo, di questa particolare categoria di lavoratori.

Lavoratori atipici. Nuove forme di lavoro previste dalla Legge Biagi

In tutti i luoghi di lavoro, anche quelli a rischio più elevato, come i cantieri e le officine, oltre che i lavoratori a tempo indeterminato e gli apprendisti, possono essere presenti altre tipologie di lavoratori assunti con contratti di caratteristiche particolari di recente istituzione; infatti, è stato pubblicato il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 «Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla Legge 14 febbraio 2003, n. 30», che ha introdotto nuove forme flessibili di lavoro utilizzabili per moltissime attività lavorative. Queste nuove forme di lavoro hanno sconvolto le rigide forme tradizionali di impiego vigenti da tanti anni, cercando di tenere conto sia delle esigenze delle aziende sia delle aspirazioni dei lavoratori.
Le nuove forme di lavoro previste dal decreto sono:

Contratto di lavoro intermittente:

«contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa»; nel decreto si evidenzia che naturalmente è vietato il ricorso al lavoro intermittente per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;

Contratto di lavoro ripartito:

«speciale contratto di lavoro mediante il quale due lavoratori assumono in solido l’adempimento di una unica e identica obbligazione lavorativa.
I lavoratori hanno la facoltà di determinare discrezionalmente e in qualsiasi momento sostituzioni tra di loro, nonché di modificare consensualmente la collocazione temporale dell’orario di lavoro, nel qual caso il rischio della impossibilità della prestazione per fatti attinenti a uno dei coobbligati è posto in capo all’altro obbligato». Questa formula di lavoro, nata qualche anno fa negli USA, probabilmente sarà poco utilizzata in Italia, in quanto comporta, per il datore di lavoro, il raddoppio dei costi formativi e informativi e dell’eventuale sorveglianza sanitaria;

Lavoro a progetto e lavoro occasionale:

«i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato» (sostituisce i co.co.co., collaborazione coordinata e continuativa).
Questi contratti di somministrazione di lavoro possono essere conclusi da ogni soggetto, chiamato utilizzatore, che si rivolge a un altro soggetto chiamato somministratore; il somministratore fornisce la manodopera e l’utilizzatore la utilizza.

Lavoratore esposto (articolo 69, D.Lgs. n. 81/2008)

Qualsiasi lavoratore che si trovi interamente o in parte in una zona pericolosa.

TIPOLOGIE DI LAVORO

Lavori usuranti

Sono quelli per il cui svolgimento è richiesto un impegno psicofisico particolarmente intenso e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee. Sono tabellati in apposito decreto.

Lavoro in quota (articolo 107, D.Lgs. n. 81/2008)

Attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto ad un piano stabile.

Lavoro subordinato

Il lavoro subordinato è il lavoro prestato da coloro che si obbligano a mettere a disposizione di un’altro soggetto (imprenditore, datore di lavoro) la loro attività lavorativa in quanto tale, a prescindere dal risultato perseguito e quindi rimanendo propriamente estranei al rischio connesso con il raggiungimento di quel risultato. Il codice civile definisce come lavoro subordinato quello reso all’interno di un’impresa (articolo 2094 c.c.), ma non si tratta di un fenomeno esclusivo dell’impresa: datore di lavoro può essere anche uno non imprenditore (si pensi al lavoratore domestico alle dipendenze di un privato o alla segretaria alle dipendenze di un professionista come il medico o l’avvocato, ecc.). Inoltre, pur essendo il lavoratore alle dipendenze di un imprenditore, è possibile che materialmente l’esecuzione della prestazione non si svolga all’interno dei locali dell’impresa (si pensi al lavoro a domicilio).

Lavoro minorile

Il legislatore, stabilendo le norme a tutela della sicurezza e della tutela dei lavoratori, ha prestato particolare attenzione nei riguardi di quelle categorie di lavoratori minori, le lavoratrici madri, gli handicappati.
Infatti, per quanto riguarda il lavoro minorile, già l’articolo 37, Costituzione, stabiliva che «la Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione».
Per individuare i lavoratori minori, per prima cosa è necessario riportare le definizioni di bambino e di adolescente fornite dalla Legge n. 977/1967:
- il bambino (sostituisce la parola «fanciullo» utilizzata dalla legislazione precedente) è il minore che non ha ancora compiuto 15 anni di età o che è ancora soggetto all’obbligo scolastico;
- l’adolescente è il minore di età compresa tra 15 e 18 anni di età e che non è più soggetto all’obbligo scolastico.
Quindi, l’età minima per l’ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e, comunque, non può essere inferiore a 15 anni compiuti. Di recente, dal 1º gennaio 2007, questo limite è stato elevato a 16 anni, infatti, la Legge 27 dicembre 2006, n. 296 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale delle Stato (Legge finanziaria 2007)», all’articolo 1, comma 622, stabilisce che «l’istruzione impartita per almeno dieci anni è obbligatoria ed è finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età. L’età per l’accesso al lavoro è conseguentemente elevata da quindici a sedici anni».

Lavorazioni alle quali non possono essere adibiti gli adolescenti:

Il D.Lgs. n. 262/2000 ha modificato e integrato la precedente legislazione, riportando, nell’Allegato I, l’elenco delle attività, costituito da ben 37 voci, alle quali è vietato adibire gli adolescenti, di cui si riportano le più diffuse:

  • Mansioni che espongono gli addetti ad agenti fisici (atmosfera a pressione superiore a quella naturale), agenti biologici (gruppi 3 e 4, ai sensi del Titolo X, D.Lgs. n. 81/2008), agenti chimici (sostanze e preparati classificati tossici, molto tossici, corrosivi, esplodenti, nocivi, irritanti);
  • Lavori di fabbricazione e di manipolazione di dispositivi, ordigni e oggetti contenenti esplosivi;
  • Lavori in serragli contenenti animali feroci o velenosi nonché condotta e governo di tori e stalloni;
  • Lavori comportanti la manipolazione di apparecchiature di produzione, di immagazzinamento o di impiego di gas compressi, liquidi o in soluzione;
  • Lavori comportanti rischi di crolli, di allestimento e di smontaggio delle armature esterne alle costruzioni;
  • Lavori comportanti rischi elettrici da alta tensione;
  • Lavori il cui ritmo è determinato dalla macchina e che sono pagati a cottimo;
  • Lavori in gallerie, in cave, in miniere, in torbiere e nell’industria estrattiva in genere;
  • Lavorazione dei tabacchi;
  • Lavori in magazzini frigoriferi;
  • Manovra degli apparecchi di sollevamento a trazione meccanica, a eccezione di ascensori e montacarichi;
  • Saldatura e taglio dei metalli con arco elettrico o con fiamma ossidrica o ossiacetilenica.

Naturalmente, il datore di lavoro, prima di consentire ai minori di operare nelle attività consentite, deve effettuare una ancor più attenta valutazione dei rischi, tenendo conto, in particolare:

  • dello sviluppo non ancora completo e della mancanza di esperienza dei minori;
  • della eventuale necessità di movimentazione dei carichi (il riferimento, per i soli lavori agricoli, è relativo a un carico massimo di 20 kg per gli adolescenti maschi e di 15 kg per le adolescenti femmine);
  • della necessità di una particolare formazione e informazione.

Lavoro notturno

Tale tipo di lavoro è regolato dal D.Lgs. n. 66/2003 come modificato dal D.Lgs. n. 213/2004, che ha abrogato il precedente D.Lgs. n. 532/1999. Si definiscono lavoratori notturni, chi effettua almeno 3 ore di lavoro nell’intervallo tra mezzanotte e le cinque, in una azienda in cui si effettua regolarmente lavoro notturno (si lavora normalmente per almeno sette ore comprendente l’intervallo tra mezzanotte e le cinque).
La Legge n. 133/2008 pubblicata in G.U.R.I. il 6 agosto 2008 ha ulteriormente modificato la definizione di «lavoratore notturno» precisando che, stante la mancanza di una disciplina collettiva, si considera lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga «per almeno tre ore» lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all’anno; limite riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale. La Legge n. 133/2008 ha modificato in altre parti il D.Lgs. n. 66/2003.

Lavoro notturno delle donne

Il decreto ministeriale 5 luglio 1973 riguarda, in particolare, il lavoro notturno delle donne nelle aziende industriali, individuando un intervallo di preclusione che va dalle 22 alle 6; questo intervallo può essere eventualmente modificato soltanto previa autorizzazione dell’ispettorato del lavoro, in seguito a motivata richiesta dell’azienda.
La materia relativa al lavoro notturno, regolata dalla Legge n. 977/1967, è stata adeguata dal D.Lgs. n. 345/1999. In particolare, questo decreto stabilisce che è vietato adibire i minori di anni 18 al lavoro notturno e che gli adolescenti che hanno compiuto 16 anni possono essere, eccezionalmente e per il tempo strettamente necessario, adibiti al lavoro notturno quando si verifica un caso di forza maggiore.

Lavoro notturno degli apprendisti

Per quanto riguarda il lavoro notturno degli apprendisti è ancora in vigore l’articolo 10, Legge n. 25/1955, secondo cui è vietato, in ogni caso, il lavoro fra le 22 e le 6; poiché, però, la disciplina dell’apprendistato è stata di recente modificata per quanto riguarda l’età massima dell’apprendista che può arrivare fino a 29-32 anni, si è determinata una distorsione tra apprendisti di «età elevata» che non possono svolgere in ogni caso lavoro notturno, e lavoratori di età anche più bassa che invece possono lavorare di notte. Il lavoro notturno è regolato oggi dal D.Lgs. n. 66/2003 (modificato dal D.Lgs. n. 231/2004) che ha abrogato il D.Lgs. n. 532/1999. La nuova normativa sancisce l’obbligo di accertamenti preventivi e periodici da parte del medico competente per tutti i lavoratori notturni, cioè che effettuano almeno tre ore di lavoro nell’intervallo tra mezzanotte e le cinque, in una azienda in cui si effettua regolarmente lavoro notturno (si lavora normalmente per almeno sette ore comprendente l’intervallo mezzanotte-cinque).

Lavoro in solitudine

Il rischio del luogo di lavoro e dello stress nei lavori in solitudine

L'analisi dei rischi di chi lavora da solo me serve a mettere in risalto il disagio causato dalla solitudine e i rischi nei luoghi di lavoro (evacuazione, primo soccorso in caso di infortunio o malore, antincendio, emergenza): l’importanza della formazione sul rischio specifico del lavoro da soli.

Definizione di Lavoro in solitudine:

“Una persona è “sola” al lavoro quando non può essere vista o sentita da un’altra persona; e quando non può aspettarsi una visita da un altro lavoratore: è importante considerare con attenzione tutte le situazioni. Il lavoro in solitudine riguarda tutti i lavoratori che possono andare per un periodo di tempo in cui non hanno un contatto diretto con un collega.” (definizione tratta da articolo della Canada’s National Occupational Health e Safety Resource).

Il lavoro in solitudine è sempre più presente all’interno di molteplici attività inserite in diversi comparti lavorativi.
Analizzare il tema del lavorare in condizioni di isolamento risulta particolarmente complesso.

RUOLI LAVORATIVI CHE PREVEDONO IL LAVORO IN SOLITUDINE (esempi)

  • Autotrasportatori
  • Addetti alle guardianie sia notturne, sia diurne
  • Tecnici di pronto intervento per servizi di pubblica utilità che svolgono il proprio lavoro sul territorio nazionale (energia elettrica, gas, acqua, ecc.)
  • Addetti alle pulizie che operano in orari in cui i locali da pulire non sono “abitati”
  • Addetti al controllo del funzionamento di impianti a ciclo continuo
  • Addetti ai servizi di vigilanza (che spesso presidiano ampie aree attraverso monitor e telecamere …)
  • Addetti al Telelavoro

MANSIONI CHE POSSONO ESSERE SVOLTE ANCHE IN ASSENZA DI ALTRE PERSONE

  • Lavorazioni in agricoltura
  • Lavorazioni del commercio
  • Lavorazioni di assistenza impianti e/o di magazzinaggio
  • Addetti a particolari attività di riscossione di denaro (esempio addetti al pedaggio autostradale e/o distributori di carburante)
  • Macchinisti ferroviari

Il lavorare in solitudine può essere affrontato in base a due possibili ricadute sulla salute di chi lo compie: da un alto il rischio vero e proprio derivante dalla mancata possibilità di venire soccorsi (sia in caso di infortunio sul lavoro, sia in caso di malore o evento accidentale) e, dall’altro, le conseguenze, meno dirette ma comunque da non trascurare, che hanno a che vedere con gli aspetti psicologici e sociali che possono avere delle ripercussioni sullo stato di benessere del lavoratore.
Il testo unico sulla sicurezza del lavoro detta indicazioni generali (obblighi del datore di lavoro, del rssp, del rls e dei singoli lavoratori), e specifiche sulle procedure di pronto soccorso e della formazione.
Ricordiamo che in virtù dell’art. 17 del DLgs 81/08 la valutazione dei rischi è un obbligo che il datore di lavoro non può delegare a nessuno: riguarda tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori delle attività e luoghi in cui essa si svolge e l’organizzazione del lavoro specifica, senza alcuna differenza di genere e di età. Nel documento di valutazione è importante quindi che possano essere individuati i lavoratori che operano in solitario e l’esplicitazione della specifica valutazione dei rischi.
Il lavoro in solitudine (anche se l’ultimo punto “altri rischi” potrebbe ricomprenderlo) in quanto non rappresenta di per sé un rischio, bensì una condizione di lavoro per la quale però il lavoratore deve essere idoneamente formato. In particolare la formazione dovrà riguardare le misure di protezione da attuare in caso di emergenza, le misure di prevenzione atte ad evitare il disagio di una condizione di lavoro che lo pone per tutto l’orario o larga parte di esso in assenza di contatti con altri esseri umani. Nelle organizzazioni quindi in cui è previsto che vi siano uno o più lavoratori che operano da soli, la formazione sui rischi specifici è fondamentale. Inoltre deve essere posta particolare attenzione al “ Piano di evacuazione”. All’interno di detto piano è importante venga inserito uno specifico paragrafo in cui siano individuate le procedure di evacuazione in caso di emergenza e di necessità di primo soccorso per chi opera in solitario.
Il lavoro in solitudine può anche, come abbiamo già detto, comportare una sorta di disagio maggiormente riconducibile a percezioni e sensazioni che ciascun individuo “avverte” in modo differente se in presenza o meno di altri soggetti.

Cosa può comportare il lavorare in orari nei quali l’alternanza dei ritmi sonno/veglia può venire intaccata?
E cosa può comportare il dovere affrontare situazioni non sempre previste e dovere prendere delle decisioni in completa autonomia?

Quando il lavoratore ha a che fare con scelte e/o decisioni che riguardano la sicurezza del lavoro (esempio manutenzione /riparazione/controllo di impianti e/o attrezzature pericolose) non dovrebbe essere lasciato solo nel decidere, ma ad esso dovrebbero essere affidate tutte le indicazioni necessarie preventivamente valutate ed esplicitate nel documento di valutazione dei rischi.
Il problema analizzato risulta di difficile soluzione, anche perché la disomogeneità di tali ambienti e di come il lavoro viene organizzato influisce molto sulla valutazione. Il DVR rappresenta o può rappresentare, allorquando contenga una valutazione rigorosa e approfondita, l’elemento fondamentale di prevenzione. L’analisi di un problema, che sia di sicurezza o di attenzione alle condizioni di benessere, deve obbligatoriamente partire dall’esame della realtà operativa in cui il lavoro viene svolto. Detta realtà è rappresentata da più elementi che si interfacciano tra loro: compiti, responsabilità, ambiente, attrezzature, impianti e, non ultimo, il sistema di relazione che ciascun addetto “percepisce e pratica” nel proprio ambiente lavorativo.
In definitiva il lavoro in solitudine non è di per sé “rischioso” ma lo può diventare quando le persone oltre che isolate si sentono insicure e disagiate.

 

Testo Unico Sicurezza sul Lavoro - D.Lgs. n. 81/08 scarica file pdf

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